martedì 18 maggio 2010

ESTRATTO DEL LIBRO VIII DE "LA REPUBBLICA" DI PLATONE

COGITATIONES

< Quando un popolo, divorato dalla sete dI libertà,
si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà,
fino ad ubriacarlo, accade allora che,
se i governanti resistono alle richieste
dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti.
E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo;
che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato,
che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui,
che i giovani pretendano gli stessi diritti,le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani.
In questo clima di libertà,nel nome della libertà,non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.>

Platone.

Questo estratto del Libro VIII de “La Repubblica” di Platone affronta il tema della libertà, la stessa libertà alla quale ogni uomo talvolta inconsciamente mira.
Per comprendere meglio il significato di questo brano, è necessario ambientarne la creazione in un preciso contesto storico. Platone, infatti, vive in un contesto socio-politico che vede al governo la tirannia, l’oligarchia e la demagogia (che, spacciatasi per democrazia, si serve del suo titolo per esercitare maggior controllo sul popolo). Egli cerca dunque di spiegarsi la ragione per cui lo stesso popolo che tanto a lungo aveva desiderato la libertà, stesse facendo in modo che emergessero queste forme di governo totalmente autoritarie.


Platone afferma che la libertà muore proprio quando non vi è più riguardo né rispetto per nessuno, quando si crea un disordine tale che nessuno riconosce il proprio ruolo all’interno della società.
In questo senso Platone si rivela molto moderno: con le nuove generazioni si sta diffondendo, soprattutto in ambito politico, il mito del “carismatico” infatti, solo colui che più è in grado di stare tra il popolo e soddisfarne continuamente le richieste controllandolo e traendone a sua volta profitto è considerato idoneo al ruolo di governatore.
Inoltre oggi i giovani vogliono apparire più saggi degli anziani e talvolta credono che il volume della voce possa determinare il valore della propria opinione; spesso si fanno beffa dei professori che per non esser considerati troppo autoritari, soddisfano le loro richieste e non agiscono più per il loro bene trasmettendo loro quanta più cultura possibile, ma agiscono per evitare continue lamentele e continue accuse da parte degli stessi. L’alunno che invece si mostra più attento all’osservanza delle regole, viene spesso escluso dal gruppo classe e in casi estremi è soggetto ad atti di bullismo da parte dei suoi coetanei.

La tirannia nasce dunque dal disordine sociale: quando un uomo di qualunque classe sociale non accetta più la sua condizione perché facendo parte di una minoranza politica, la sua idea non viene presa in considerazione, accade che ogni cittadino, volendo vivere agiatamente, non s’interessa più al bene della comunità ma al bene proprio a danno dell’altro.

In queste condizioni non è possibile creare un senso di unità nazionale, non è possibile pretendere che la società progredisca, che i giovani facciano passi da gigante, che ogni cittadino si senta libero.

Non pubblico questo estratto perchè io lo condivida pienamente, ma può essere un ottimo spunto di riflessione per molte situazioni attuali. La questione interessante è che se non lo sapessimo, non ci acorgeremmo che l'autore dell'opera è un uomo vissuto nel V secolo a.C. Quello che più mi lascia perplessa sono le accuse che Platone rivolge alla società, priva di valori e di unità, una società morta spiritualmente.

giovedì 8 aprile 2010

MARIONETTE

"L'industrializzazione ha distrutto il villaggio. L'uomo, che viveva in comunità, è diventato folla solitaria nella megalopoli" G.Tamburrano.

L'uomo è il criceto che fa girare la ruota: tutti i meccanismi che regolano la società sono frutto del suo ingegno, della sua capacità di cercare un sistema che possa mettere d'accordo un insieme.
L'uomo, dunque, subisce le conseguenze di ciò che crea e oggi subisce le conseguenze di un gigantesco sistema che, col suo peso, sopprime lo stesso ingegno grazie al quale è stato creato.

L'industrializzazione è solo una parte di questo immenso sistema e nel suo piccolo ha sminuito, fino a rendere nulla, una della caratteristiche fondamentali dell'aspetto socio-emotivo dell'uomo : il CONTATTO e cioè lo stato, la condizione che permette all'uomo di conoscere le realtà che lo circonda.
Parlo di aspetto socio-emotivo perchè nel momento in cui l'uomo si relaziona all'altro o nel momento in cui si guarda intorno sta rispondendo a un impulso, a un bisogno non dettato dalla ragione.

Il dio-uomo non è altro che un burattino della società, è un essere che ha perso la sua spiritualità e il suo legame con ciò che lo circonda e non ha più negli occhi e nel cuore la volontà di conoscere perchè preferisce rimanere nella sua "folla solitaria" e illudersi che la realtà delle cose sia quella che lui vede in televisione o nella monotonia quotidiana.


Giorgia.

mercoledì 24 marzo 2010

CORRIDORI

Si perdono su queste rive
migliaia di sogni e ambizioni
di tanti uomini e donne che hanno smarrito l’Amore.

La sabbia è immobile, impassibile al vento
che poderoso si scaglia contro le mura
di un’imponente villa abbandonata.
La luna s’appresta a dominare il cielo
quando il sole è già lontano;
lampioni e auto danno vita alle strade
e corridori, stanchi, le percorrono.

Ricerco sulle rive i loro ricordi,
ricerco l’Amore che hanno perso.

Il mare si fa più inquieto,
le onde raggiungono la riva
e mentre il buio avvolge il paesaggio
e lo rende cupo,
l’amor dalla spiaggia portano via…

Giorgia Di Lernia

venerdì 5 marzo 2010

INTER COGITATIONES ET VERITATES

VICINI LONTANI



Come foglie in autunno
che dolcemente si dondolano nell’aria
in attesa di posarsi sul suolo,
ci culliamo nelle nostre certezze,
lasciandoci portar via dal vento.

Come onde inquiete
che infrangono le rocce
e s’inseguono l’un l’altra,
lamentiamo d’esser placati dalle grotte
create con la nostra ira e col nostro rancore.

Come tramonti diversi
di luce che si disperde tra le montagne,
che dall’orizzonte si riflette sul mare,
ignoriamo d’esser figli dello stesso sole.

Una parete di nebbia ci divide,
cela le nostre ombre e ci inganna,
trasformando le nostre voci in lontani lamenti.



Di Lernia Giorgia